Abbuffandoci in Giappone
Che la cucina giapponese non fosse solo sushi l’avevamo già scoperto a Melbourne, dove gli anni in cui i posti trendy erano italiani e greci sono lontani, e ora fa da padrone la cucina di origine asiatica. Negli ultimi mesi avevamo provato di tutto, ma trovarsi di fronte all’originale è sempre un’altra cosa. Come mangiare una pizza a Napoli o a Cagliari, non c’è storia.
Abbiamo provato di tutto, dal sushi mattuttino (al mercato di TOkyo) alle interiora, dagli okonomiyaki cucinati da noi sulla griglia al katsudon di tutti i generi. E solo una volta, nell’arco di un mese, abbiamo mangiato male. Una volta su almeno 60 pasti diversi. Un miracolo, praticamente.
Da profana, i motivi mi sembrano diversi. L’attenzione maniacale per la qualità del cibo, innanzitutto. Anche nei ristoranti più economici il cibo è sempre fresco, anche i take-away del supermercato sono di ottima qualità, e costano pochissimo!
Poi il fatto che la maggior parte dei ristoranti si concentri solo su un tipo di pietanza: se cucinano ramen, fanno solo ramen (al massimo ci mettono i gyoza, accanto). Se fanno katsudon, hanno solo maiale fritto, non cercate una zuppa (e chiamarlo maiale fritto non descrive cosa sia in realtà, che sto salivando solo a pronunciarne il nome). E se per 20 anni cucini solo quel piatto, e soprattutto sei ancora aperto, vuol dire che lo sai cucinare bene. Stra-bene. Così la storia del tipo diventato famoso perchè da una vita fa solo sushi, e lo fa con maniacale precisione, sfuma un po’ di importanza, perchè la sua storia non è unica.
La vecchietta che a Miyajima ci prepara l’okonomiyaki ha il ristorante nel salotto di casa, in pratica, e probabilmente è nata facendo okonomiyaki. Ad Hakone mangiamo il pollo fritto più buono della storia del mondo (KFC maledetto!). Il marito curvo serve in sala, la moglie cucina…sembrano una macchina perfettamente oleata, nonostante le gobbe, nonostante le rughe sulla faccia, guardare le sue mani mentre con le bacchette lunghe frigge il pollo in una grande padella…mi sento dentro un film, nella cucina della nonna protagonista, è un’esperienza da lasciare a bocca aperta, non esagero. E anche il wasabi è un universo nuovo, non è quello commerciale dal sapore velenoso, è stato grattuggiato fresco. E’ la totale esaltazione del sapore. E poi vogliamo aprlare delle spezie? di come il sesamo pestato nel mortaio sia semplicemente perfetto sulle costole di maiale fritte? O dei semi sugli onigiri? Oppure la Hida-beef, una carne bovina che si scioglie in bocca, semplicemente divina.
E il sushi, ovviamente, ma soprattutto il sashimi…che avevamo giurato di smettere di mangiare tonno, ma abbiamo dovuto cambiare la promessa rimandandola a dopo il Giappone. E il sushi di Kanazawa me lo ricorderò finchè campo.
E poi udon, soba, gyoza, i cracker di riso, il cibo di strada comprato alle bancarelle, i dolcetti, le polpette di polpo (teriyaki), gli spiedini di ogni genere, le bento box del supermercato, e qualsiasi altra cosa ingurgitata in questi circa 60 pasti. Non abbiamo mai mangiato occidentale, in questo mese, sarebbe stato un delitto.
Ah, l’altra caratteristica del cibo, oltre alla freschezza e la preparazione maniacale: l’aspetto. Non ti arriva mai un piatto che non sia bello, in cui gli ingredienti sono disposti in modo casuale. In questa società dove tutto è codificato, anche la posizione della carne dentro la ciotola della zuppa è stata stabilita: e quando il piatto arriva a tavola, è esattamente come quello del modello esposto in vetrina. Uguale.
Già, i modelli in vetrina: in tanti posti (non ovunque , eh) la vetrina del ristorante contiene il modellino di tutti i piatti cucinati dentro. In modo che ognuno sappia cosa mangerà, e quale sarà la porzione esatta. Questa cosa ovviamente ci fa impazzire, perchè ci facilita la vita: trovarsi a tu per tu col menù solo in giapponese, con nessuno che aprli inglese, può essere frustrante. TI può capitare che gli spiedini che ti arrivano a tavola siano si di maiale, ma del cuore del maiale. Insomma, piccole incomprensioni. Ma se è la tua giornata fortunata può anche capitare che la cameriera sia super smart, tiri fuori il suo cellulare, e usi un’applicazione per tradurre dal giapponese all’italiano. Good on you!
I primi giorni sembravamo due bambini scemi che si stupivano per ogni cosa: quando abbiamo visto gli onigiri per la prima volta al bancone del supermercato, EM quasi si metteva a piangere commosso “Le palle di riso dei cartoni animati!”. Perchè diciamocelo, quei cartoni ci sono entrati nel cervello 😀
E quando ci siamo straffogati delle crepe a Takeshita Dori, confesso di aver pensato a Crimy (ve lo ricordate?).
E non nascondo di aver cercato a lungo Marrabbio scrutando dentro i ristoranti con le tende di stoffa. E alla fine, ne ho trovato due di preparatori di Okonomiyaki come lui, ma in versione femmimile. Ma non avevano il fazzoletto bianco sulla testa.
A parte la qualità del cibo, ogni volta è stata un’esperienza tutto l’insieme, dal cucinare noi il nostro okonomiyaki sulla piastra del nostro tavolino, a gambe incrociate sul tatami, con Yu (il nostro padrone di casa di TOkyo) che ci dava istruzioni per non fare disastri, ad avere il cuoco che arrostiva per noi sulla griglia ogni ben di dio, al sushi bar in piedi e quello col nastro con gli shinkansen che portano gli ordini direttamente al tavolo, alle zuppe pagate alla macchinetta automatica fuori dal locale, alle izakaye con i camerieri che urlano e creano un ambiente festoso e i clienti abituali che si stonano di sakè…che gli viene riempito non solo il bicchiere, ma anche la coppetta che è messa sotto il bicchiere. Il barista riempie, riempie, il sakè trabocca dal bicchiere e riempie del tutto la coppetta. E loro bevono, 1, 2, 3, sfattissimi. Oppure i ramen migliori del mondo di Hiroshima, con la zuppa piccante messa dentro un’altra ciotola, e i ramen da intingere dentro, con una colonna sonora di pop giapponese da strapazzarti le orecchie, e una collezione di manga la parete….molto otaku style! I posti migliori sono stati quelli piccoli, a conduzione familiare, gestiti da anziani e pieni della clientela abituale: la colazione di fronte al tempio con uovo sodo, caffè e toast imburrato di Kanazawa, gli okonomiyaki a Tamonoura, la cena ad Hakone, in tutti questi posti ci siamo trovati involontariamente al centro dell’attenzione, con chi ci diceva due parole in italiano, chi di fronte al planisfero ci chiedeva da dove venisismo, facendoci puntare col dito sulla mappa, chi ci faceva vedere le foto del viaggio di nozze fatto in Italia e ci faceva le congratulazioni per le nostre, di nozze. Ovviamente tutto in giapponese (da parte loro), con qualche parola di inglese, e tanto tantissimo linguaggio del dito. Uno spasso, ogni volta siamo usciti da li in un coro di Arigato-gozaimas e inchini, e lacrime agli occhi dalle risate.
I love Japan anche per questo, perchè il cibo è stato fondamentale in questo viaggio, per i sapori e le esperienze; non è stato mai la pausa tra le cose da vedere, era un momento clou della giornata, con pari dignità con i templi e i musei. Ha ragione la nostra amica Kyoko quando dice che Italiani e Giapponesi hanno un sacco di cose in comune: l’ossessione per il cibo buono è la prima nella lista 😉
PS: mi sa che le troppe costole di maiale fritte, e la troppa tempura, e il troppo cibo hanno lasciato segni inequivocabili su fianchi e pance….meno male che ci pensa la Cina ora a rimetterci in linea! 😉
Grande grande grande voglia di tornare in giappone!!!!!
a chi lo dici!!!