Ricostruire
Oggi durante la WIG session settimanale, mentre mi accingevo a presentare la mia scoreboard con i suoi quadrati verdi, arancio e rossi, ho pensato a come sia difficile, per me, portarmi dietro i miei skill nella nuova lingua.
Non ho mai avuto problemi a parlare in pubblico. Il callo l’ho fatta all’universita’ facendo la rappresentante degli studenti. Appena trasferita a Cagliari, dopo tre giorni ho partecipato alla prima attivita’ politica di un’associazione studentesca a cui mi aveva introdotta Andrea L, un amico di Sadali. Mi ricordo ancora tutto di quel giorno, perche’ quell’associazione, la Jan Palach, e’ stata al centro dei miei anni universitari cagliaritani, ci ho incontrato alcuni tra i miei migliori amici, abbiamo passato nottate a ragionare su come cambiare il mondo, di tattiche elettorale, giocando a biliardino, impaginando il nostro giornale Graffiti. In quelle stanze sotto il palazzo delle Scienze ci ho passato 3 anni meravigliosi, e ancora ci torno con piacere. Mi ricordo ancora quel primo giorno in Jan Palach, quando ho incontrato Marco P, lui che mi carica sul suo scooter, e insieme andiamo a un incontro col Magnifico Rettore. E io, la matricola, mi metto a discutere proprio col Magnifico, come se fosse la cosa piu’ normale del mondo rinfacciargli davanti alle telecamere della tv locale che sta dicendo cazzate. Ero combattiva, da giovane. Non per nulla mi chiamavano CheGueVargiu.
L’ultima frontiera della vergogna l’ho superata durante le presentazioni del libro, parlando in pubblico dei miei fatti privati, dando voce a pensieri che spesso si tengono nascosti dentro se’ stessi, esponendomi a domande di altre persone.
Oggi invece, mentre aspettavo nervosamente il mio turno durante la riunione, mi sono resa conto di quanto anche lavorativamente quest’Australia sia un nuovo inizio. Mi manca ancora the confidence nel parlare in pubblico. E non trovo una parola italiana per tradurre il significato della parola confident, sicurezza non mi sembra dia la stessa profondita’. Capisco tutto, ormai, parlo in modo decente, ma c’e’ qualcosa, ancora, nonostante l’anno e mezzo passato qui, che mi fa vergognare, nel parlare in pubblico di fronte a 25 persone. E’ la consapevolezza del’accento, forse. Forse e’ la consapevolezza di non aver ancora piegato l’inglese alla mia testa, di non riuscire a fare sottile ironia. La consapevolezza che le cose suonino diverse, sempre meno belle, di come le pensi io nella mia testa.
E’ stremante, talvolta. Perche’ sento di non potermi esprimere al meglio, di non poter far capire la’ fuori chi sono veramente.
Quindi ero li, di fronte a queste 25 persone messe a semicerchio, con la mia scoreboard in mano, ad aspettare il mio turno, a ragionare e a tentare di ricostruire i miei skill comunicativi, di nuovo, a forgiarli nella nuova lingua. Poi e’ arrivato il mio turno, e al solito mi sembra di non essere stata troppo sicura, di aver corso un po’ troppo, di non aver dato la giusta profondita’ a quello che dicevo.
Ma pazienza. C’est la vie, fair enough, questo e’ il bello del riniziare, del rimettersi in gioco, no? Se avessi voluto stare comoda nelle mie certezze e skills e fare solo le cose che so fare non avrei lasciato un lavoro a tempo indeterminato e attraversato il globo per finire nel posto quasi piu’ lontano da casa.
Prima o poi il mio inglese sara’ cosi fluente e io saro’ cosi confident che scrivero’ un blog in inglese, sapevatelo.
[l’unico rischio e’ che quel momento sia cosi’ lontano che probabilmente i blog non andranno piu’ di moda… 😉 ]