In uno tsunami di confusione
26 Agosto 2012
Non ho mai avuto tanta difficoltà a scrivere di un paese come ho con Cuba. E’ perche’ i miei sentimenti sono cosi contrastanti, ho l’impressione di aver passato più tempo a cercare di capire che a guardare i bei portici coloniali…forse mi sono anche persa qualcosa, a causa di quest’ansia di capire.
Oggi, in visita al cimitero di Santiago, tra le tombe di Marti e Compay Segundo, abbiamo conosciuto un’altra faccia, sulla quale ci eravamo fatti delle domande, ma non avevamo risposte: la repressione politica.
Non abbiamo mai avuto problemi nel chiacchierare con la gente: tutti, chi più’ chi meno, si lasciano andare a qualche commento. Nella maggior parte dei casi abbiamo trovato persone stanche dello stato delle cose, stremati per le difficolta’ quotidiane e il caro prezzi. Ci e’ sempre sembrato che la gente fosse più’ preoccupata per la situazione economica, che per il resto. E tante volte, di fronte alle persone più’ aperte, abbiamo provato a porre la domanda diretta: ok la crisi economica, ma il cubano medio sente solo questo? Non sente un problema di mancanza di liberta’? Forse che la propaganda incessante riesca nel suo intento? O forse la gente e’ talmente presa dal sopravvivere, dal non avere tempo per pensare alla liberta’?
A questo punto della conversazione l’interlocutore o non risponde, e schiva la domanda, o continua a parlare, abbassando la voce, che diventa un sussurro. Lo stesso se passa vicino un cubano a lui sconosciuto. Questo ci aveva fatto immaginare che esistesse una macchina di controllo della gente: in un paese colpito da una crisi economica forte da tanti anni, se la gente non e’ per strada a chiedere un cambiamento, e se il tasso di criminalita’ e’ basso, l’unica spiegazione e’ che esista un sistema di controllo tanto capillare che fa si che la gente abbia paura di parlare, manifestare e rubare. Ci hanno parlato di polizia in borghese, di un sistema di controllo dei vicinati, del controllo dei telefoni, e vedere la gente prendere precauzioni avvalora i racconti.
Oggi pero’ abbiamo superato il livello solito: di fronte a noi, una persona senza nulla da perdere ci ha parlato liberamente della repressione, e di quello che e’ successo a sua sorella, una opposidora del regime. Non abbiamo avuto modo di verificare se quello che ci ha raccontato corrisponde a realta’, ho nome e cognome della sorella e voglio fare un giro su Internet prima, pero le sue lacrime non mi sembravano quelle di chi mente per la mancia…e il suo parlare nonostante le guardie di sicurezza attorno mi hanno fatto davvero pensare a una donna senza nulla da perdere, che non vuole perdere la dignita’ col silenzio.
La sorella era una dirigente della sezione giovanile del partito, ma si e’ stancata, ha cominciato a vedere oltre la propaganda, e cosi ha rotto col partito, diventando una dissidente. Ci ha parlato di colpi presi per la strada da polizia in borghese, di una volta che e’ tornata a casa con la faccia gonfia per i gas, o di un’altra volta che e’ sparita, e loro per tre giorni l’hanno cercata, senza possibilita’ di vederla. O di quando e’ finita 4 anni in galera con l’accusa di prostituzione. Ora vive negli Stati Uniti, in una specie di esilio, perche’ nel suo paese non e’ persona gradita, e puo’ tornare solo previa autorizzazione, perche’ e’ una dissidente.
Ora vorrei capire dove arriva questo sistema, se si limita a metterti un piede sopra la testa e a dirti “prova a parlare ora”, per usare l’immagine usata dalla nostra interlocutrice…o se si avvale di altri metodi come le classiche dittature, visto che salutandoci ci ha detto di contattare sua sorella, che ci avrebbe dato altri dettagli che lei non poteva darci. E ha aggiunto, con le lacrime agli occhi ditele ” que la quiero”.
Io sono senza parole, ad analizzare cosa e’ rimasto in me dell’ammirazione per questo piccolo paese che nella Baia dei Porci ha saputo fermare e dare uno scacco all’Imperialismo. E so che devo riuscire a separare i miei sentimenti, perche’ la cosa peggiore che si può fare e’ cadere nel clichè tutto bianco o tutto nero. Perche’ se c’e’ un posto in cui le sfumature sono vitali, e’ questa isola chiquita del Caribe.
Ohi mi querida Cuba, non riesco a capire, sono sempre più’ confusa, ho altre 1000 domande, altre 1000 curiosita’, e il tempo si sta esaurendo…e nessuno ha ancora risposto a quella più’ grande e difficile: che succedera’ alla morte di Fidel e Raul?